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È DIFFAMAZIONE PUBBLICARE CONTENUTI OFFENSIVI SULLO STATO DI WhatsApp

2021-10-13 21:00

Valentina Maria Siclari

Diritto Penale, È DIFFAMAZIONE PUBBLICARE CONTENUTI OFFENSIVI SULLO STATO DI WhatsApp,

È DIFFAMAZIONE PUBBLICARE CONTENUTI OFFENSIVI SULLO STATO DI WhatsApp

È


DIFFAMAZIONE PUBBLICARE CONTENUTI OFFENSIVI SULLO STATO DI WhatsApp.


Secondo


la Suprema Corte di Cassazione, pubblicare frasi offensive su una donna sul


proprio stato di WhatsApp è diffamazione. Lo ha stabilito con la sentenza n.33219/2021,


sottolineando la diffusività del mezzo.


“Le


affermazioni lesive dell’onore e del decoro della persona offesa enunciate


sullo status di whatsapp posso integrare il reato di diffamazione qualora i


contenuti ivi presenti siano visibili ai contatti presenti in rubricaâ€, si


legge nel dispositivo.


Lo


stato di whatsapp è una funzione che permette di condividere “storieâ€, cioè


brevi video e immagini. Tutti i contatti inseriti nella rubrica di whatsapp di


colui che ha inserito, o aggiornato, il proprio stato potranno visualizzare


questi contenuti, nelle successive 24 ore.


Poiché


lo stato risulta automaticamente visibile a tutti, la Corte di Cassazione ha


affermato che la pubblicazione di espressioni lesive e diffamatorie sul proprio


stato di whatsapp, integra, di fatto, il reato di diffamazione, commesso,


secondo l’articolo 595del codice  penale,


da “chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazioneâ€.


La


diffamazione non è un reato perseguibile d’ufficio ma, al contrario, è necessaria


la denuncia della vittima di fronte alle forze dell’ordine.


Ai


fini della configurabilità del reato di diffamazione è necessario che la


persona offesa non sia presente o, almeno, che non sia stata in grado di


percepire l'offesa.


Si


tratta di un reato comune posto a tutela dell'onore in senso oggettivo, quale


stima che il soggetto passivo riscuote presso i membri della comunità di


riferimento.


Dottrina


e giurisprudenza maggioritaria qualificano la diffamazione quale reato di


danno, per la cui configurabilità è necessaria la realizzazione dell'evento


inteso quale percezione e comprensione dell'offesa da parte di più persone.


Rispetto


all'elemento soggettivo, è da rilevare come ad integrare la fattispecie sia


sufficiente il dolo generico, anche in forma eventuale, inteso come idoneità


offensiva delle espressioni utilizzate e consapevolezza di comunicare con più


persone, senza che sia altresì richiesta l'intenzione di offendere.


La


parte lesa, può, quindi, reagire mediante querela. L’azione deve essere


intrapresa entro e non oltre tre mesi dalle avvenute conoscenze delle


dichiarazioni diffamatorie.


Presentando


la denuncia, la vittima dovrà produrre le prove e si impegna a dichiarare di


voler procedere penalmente.


La


pena per diffamazione può essere diversa da quella prescritta nel caso in cui


si registrino una serie di aggravanti. Una dichiarazione diffamatoria sui


social media è più rilevante di una pronunciata in un gruppo ristretto perché


raggiunge più persone, come nel caso oggetto della sentenza della Suprema


Corte.


Il


caso riguarda infatti un uomo, accusato di aver volontariamente pubblicato una


frase offensiva rivolta a una donna, presente tra i contatti e dunque


destinataria, tra gli altri, del messaggio, sul proprio stato WatsApp. Dopo


aver visualizzato lo stato ed aver capito fosse rivolto a lei, la vittima ha


denunciato l’uomo, che è stato condannato nei tre gradi di giudizio.


La


Corte di Cassazione ha confermato la decisione presa in primo e secondo grado,


irrogando all’uomo una multa da 3mila euro e spese legali da risarcire e


stabilendo che “ l’uomo non ha limitato la visione della frase offensiva


rivolta alla donna, e lo ha fatto consapevolmente, perché se avesse voluto


rivolgersi direttamente alla vittima, avrebbe avuto più senso inviarle un


messaggio personaleâ€.


 


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